Palermo è stata una delle grandi capitali del Mediterraneo. Ha avuto un passato cosmopolita, ha rappresentato per lungo tempo un luogo privilegiato per gli scambi tra musulmani, cristiani, e non solo. Anche la comunità ebraica siciliana ha avuto un ruolo chiave nello sviluppo di questo mosaico unico che è la cultura palermitana.
Alla scoperta dell’antica Palermo ebraica:
La presenza della comunità ebraica nella città di Palermo è registrata a partire dal X secolo. Questa si stanziava all’interno del quartiere arabo cittadino, all’epoca diviso in due rioni: la Meschita e la Guzzetta. I rioni si sviluppavano lungo il torrente Kemonia. Per arrivare al quartiere ebraico si passava per la Porta di Ferro, o Porta Judaica. A partire dal XV secolo, il quartiere ebraico palermitano assume caratteristiche ben precise. Le case degli ebrei si sviluppavano su più piani, che venivano costruiti come aggiunta nel tempo. Inoltre, in queste si trovava la “gheniza” una caratteristica incavatura all’altezza dello stipite della porta d’ingresso nella quale si conservava un tradizionale rotolo biblico. La comunità ebraica aveva le sue scuole, i suoi ospedali, le sue sinagoghe e una Corte Rabbinica, con relativi magistrati. I membri della comunità ebraica erano per la maggior parte artigiani, abili nella lavorazione dei metalli preziosi e dei coralli, molti erano esperti nell’arte della tessitura e della tintura, altri erano commercianti, medici, prestatori di denaro e macellai. Per lungo tempo le comunità palermitane hanno convissuto in modo pacifico. Il quartiere ebraico non era un ghetto nel senso tipico del termine, era abitato anche da islamici e da cristiani.
Con l’arrivo degli Aragonesi, le cose cambiarono radicalmente. A partire dal XV secolo a Palermo si sono registrati dei duri episodi di intolleranza. L’editto di Granada di Ferdinando II d’Aragona prevedeva l’espulsione degli ebrei dal Regno di Spagna, quindi anche dalla Sicilia. Per la città di Palermo questo episodio è stato drammatico. La comunità ebraica, composta da 35.000 abitanti, era molto ben integrata e aveva un ruolo centrale nell’economia cittadina. Il viceré spagnolo Fogliena propose quindi agli ebrei palermitani di restare, a patto di convertirsi alla fede cattolica. 9000 persone scelsero questa strada, tutti gli altri lasciarono la città. Con questo funesto provvedimento politico la cultura ebraica palermitana non è scomparsa del tutto, ma è stata assorbita dai palermitani in molte forme differenti.
Per capire quanto è forte l’influenza ebraica sulla cultura palermitana ci basta solo riflettere sul fatto che il celebre pane ca’ meusa, il panino con la milza, piatto simbolo dello street food siciliano, è una pietanza che nasce proprio dalla macellazione della carne animale secondo le regole kosher. Passeggiando per il centro di Palermo capita di alzare lo sguardo e di notare cartelli che riportano gli antichi nomi arabi ed ebraici di ogni via. Visitando un edificio come la Chiesa di San Nicola da Tolentino si trova una targa che recita: “Il Tabernacolo di Dio con gli uomini. Il restaurato edificio una volta fu mare, poi triste palude, quindi orto e tempietto; finalmente, con passar degli anni, da sinagoga divenne piccola cappella di Santa Maria del Popolo”. Anche l’Archivio Storico Comunale di Palermo si trova nella stessa zona e mostra ancora oggi le tracce del suo passato ebraico. Siamo infatti in quello che un tempo era chiamato “harat al yahud”, il quartiere ebraico, una zona descritta come piena di grandi orti, traffico, adornata di torri e di sinagoghe.
Il passato di Palermo è un intreccio di storie e di culture che non finisce mai di meravigliare chiunque visiti la città.
Photo Credits:
Foto di Alessandro Vitali per Wikimedia /Kukkysub per Wikimedia / G.dallorto per Wikimedia
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